Esiste un disagio giovanile forte e nello stesso tempo nascosto. Un disagio che spesso porta a gesti estremi e la cronaca di tutti i giorni ce lo ricorda facendoci interrogare anche davanti all’impotenza di una società incapace di trovare risposte coerenti a modelli educativi e culturali radicalmente cambiati rispetto soltanto a pochi anni fa. Si tratta di minorenni, alla ricerca di una loro strada, sballottati in un sistema mediatico che non perdona debolezze ed errori che talvolta diventano virali attraverso i social.
Da un lato la famiglia, dall’altro la scuola, tutti alla ricerca di un perché quando l’evento si è consumato in modo spesso tragico, ma forse prima della vana ricerca di una motivazione, che mai troveremo, occorre interrogarsi preventivamente quando si avvertono i primissimi segnali di un possibile disagio dei nostri ragazzi. E il primo passaggio utile è senza dubbio quello di dare un senso profondo e intimo alla vita e al suo valore. Al bene, che passa anche attraverso il rispetto dell’altro, al senso di appartenenza e utilità ad un sistema sociale che parte dalla famiglia e si sviluppa all’esterno, coinvolgendo la scuola e non solo. Alla capacità di sacrificio e a quella di adattamento. Perché nulla si ottiene facilmente.
Mi ritrovo nelle parole del sociologo Mario Pollo, che insegna pedagogia generale e sociale e psicologia delle nuove dipendenze all’Università Lumsa il quale, in un’intervista, sostiene che “bisogna educare i propri figli al “senso del limite” e insegnare loro che la vita può essere felice e piena, anche se vissuta in posizioni sociali considerati “marginali” e non “di successo”, che i “genitori non devono essere facilitatori di desideri”. Il desiderio di essere qualcosa o di possedere qualcosa che pare avere la meglio su tutto: la possibilità di rispondere rapidamente ai propri desideri, ai propri bisogni, è un assoluto, viene prima di tutto e non tollera di essere subordinato a valori, norme e regole. Tutto ciò sfugge al controllo dei genitori, che spesso preferiscono derogare, non entrare in conflitto, abbassare la guardia, concedere.
I nostri ragazzi devono soprattutto sentirsi coinvolti e responsabilizzati fin dalla più tenera età, senza deroghe, senza compromessi, partendo proprio dal valore della loro esistenza e di quella altrui. Senza la quale non esiste futuro. Dobbiamo comprendere e coprire i loro vuoti, assecondandoli nella crescita e non nei desideri. Acquista quindi un senso profondo un “no”, espresso con giusta argomentazione, senza mettere in mostra quell’impotenza che troppo spesso attanaglia oggi molti genitori. Abbiamo un compito da svolgere che non può essere quello dell’amico. Con gli amici si vanno a fare le marachelle, si bigia a scuola, si fanno le goliardate. Un genitore ha ben altro ruolo. Ci sarà un giorno che i figli per questo ci ringrazieranno.
c.g.
Diamo spazio ad un’iniziativa dell’Associazione Patrizia Funes ONLUS che, con il patrocinio e la collaborazione dell’Ufficio scolastico per la Lombardia, dell’ASST di Lecco e della Provincia di Lecco, ha organizzato e promosso un progetto di formazione dedicato a docenti, genitori e ragazzi sul tema del suicidio con particolare attenzione agli interventi di postvention, termine che indica un programma di azioni volto a gestire gli aspetti traumatici di un suicidio o di un tentato suicidio quando esso si verifica all’interno delle istituzioni scolastiche con lo scopo di sostenere quest’ultime in tale frangente, di individuare i soggetti che più hanno risentito dell’evento e di ridurre al minimo i rischi di emulazione.
Il incontro dedicato ai docenti si è svolto lo scorso 15 febbraio scorso in Sala Don Ticozzi a Lecco, dove hanno preso parte circa tredici scuole del territorio alcune delle quali “ferite” dal suicidio di un proprio alunno.
Il prossimo appuntamento, fissato domani, giovedì 22 marzo alle ore 20.30 presso l’Aula Bo.7 (Edificio 09-piano 0) del Politecnico di Lecco, si rivolgerà ai genitori, i quali saranno aiutati ad intercettare e decifrare il pensiero di morte negli adolescenti e soprattutto ad aiutare i propri figli ad affidarsi ad interlocutori adeguati affinché tale pensiero, qualora fosse presente, non si trasformi in un vero e proprio progetto suicidale. In quell’occasione prenderanno parola l’Avv. M. Rossi, Presidente dell’Associazione Patrizia Funes, il Dr. Antonio Piotti, filosofo e psicoterapeuta del Minotauro di Milano che da molti anni si occupa di questa tematica, e la Dott.ssa Marina Zabarella, della Struttura Complessa di Neuropsichiatria per l’Infanzia e l’adolescenza (SC-NPIA) dell’ ASST di Lecco.
Il terzo ed ultimo appuntamento del ciclo di incontri, infine, si terrà il 19 Aprile alle ore 15 presso l’Aula Magna dell’Istituto Bovara di Lecco e sarà rivolto ai ragazzi di tutte le scuole superiori della Provincia di Lecco. Interverranno come relatori, oltre ai già citati Avv. M. Rossi e Dr. Antonio Piotti, anche la Dr.ssa Roberta Invernizzi, psicologa della SC-NPIA dell’ASST di Lecco.
“In Italia il suicidio è la seconda causa di morte fra i giovani maschi e la terza fra le femmine e la Provincia di Lecco negli ultimi anni ha dovuto assistere alla scomparsa di un numero significativo di adolescenti che si sono tolti la vita” – spiega il Dr. Ottaviano Martinelli, Direttore della SC-NPIA dell’ASST di Lecco -. “Il nostro Servizio – continua il Dr. Martinelli – ha intercettato nel 2016 ben 29 ragazzi, su un totale di 274 in carico, attraversati dal pensiero della morte volontaria o che avevano già fatto uno o più tentativi di suicidio. Il dato 2017, attualmente in corso di elaborazione, indica come tale numero sia purtroppo in crescita, in linea con i dati nazionali ed internazionali. E’ evidente che non possiamo più rimandare la domanda sul senso della vita che i ragazzi stanno ponendo in modo così radicale, una domanda di cui tutta la società deve coraggiosamente decidere di farsi carico”.