Si festeggia domenica 28 giugno a Monza, presso la Casa degli Umiliati, nella centralissima via Teodolinda, il primo compleanno dei Musei Civici, che, da fine giugno dello scorso anno, offrono al pubblico, in questa nuova e modernissima sede, una ricca selezione di opere e reperti archeologici rimasti per lungo tempo custoditi ed isolati presso la Villa Reale, prima del restauro.
Per l’occasione sarà possibile accedere al museo gratuitamente per tutta la giornata, grazie ad un’apertura straordinaria, con orario continuato, dalle 10 alle 19.
Gli Umiliati appartenevano al novero degli ordini medievali caratterizzati da una pratica di vita improntata a sobrietà e povertà. Grazie alla loro vita laboriosa e all’intraprendenza commerciale che li contraddistingueva, gli Umiliati divennero un ordine ricco e potente, protagonista della vita economica e sociale del tempo. Tale attivismo destò diffidenza nella Chiesa e sfociò nel provvedimento di scioglimento dell’ordine nel 1571 da parte di san Carlo Borromeo.
Gli edifici umiliati, presenti in tutta la Lombardia e numerosi anche a Monza, si differenziavano in conventi destinati ai religiosi consacrati e luoghi di riunione per gli affiliati laici; la Casa degli Umiliati appartiene a quest’ultima tipologia.
Il complesso medievale ha subito vari rimaneggiamenti e riedificazioni che rendono difficile una lettura unitaria dello spazio architettonico (i monzesi con qualche anno sulle spalle lo ricordano come commissariato di PS nel Dopoguerra) sia per la presenza di numerose anomalie degli elementi costruttivi e decorativi che per la mancanza di documentazione storica significativa. Sono tuttavia riconoscibili elementi originali, altri di natura settecentesca, inserimenti del secolo scorso e i più recenti interventi per la musealizzazione degli spazi.
Il primo impatto, entrando nell’edificio, è, prevalentemente nella zona aperta, con un gruppo di reperti archeologici rinvenuti nel territorio di Monza. Si tratta di lapidi, monumenti funebri, are votive e parti di edifici monumentali databili al lungo periodo storico che gli studiosi definiscono “romanizzazione”, un periodo che, per l’area geografica a nord del Po, va dal II secolo a.C. al II secolo d.C.
In questa fase le popolazioni di origine celtica che abitavano il territorio furono gradatamente assimilate alla religione e alle consuetudini romane, come quella di affidare alle epigrafi sepolcrali la propria memoria familiare.
Grazie a un’epigrafe, scolpita nel granito di un’ara votiva dedicata a Ercole ed esposta nella prima sala del Museo, è tramandato l’antico nome dei monzesi: Modiciates. I reperti qui collocati costituiscono parte delle collezioni archeologiche dei Musei Civici: un primo nucleo di ritrovamenti ottocenteschi era esposto nel Museo Storico in Villa Reale; altri reperti integrarono la raccolta per l’allestimento del Museo in Arengario, aperto dal 1966 al 1983.
Consegnata alla storia per il suo retaggio di città di Teodolinda, Modoetia, secondo la denominazione subentrata a Modicia, alla pari di molti centri urbani italiani visse un intenso periodo medievale all’insegna del dualismo tra una fervente vita religiosa e il dinamico evolversi della vita civile e comunitaria. Da un lato le istituzioni religiose, dall’altro le corporazioni di Arti e Mestieri e il commercio regolati da Statuti comunali: furono queste le attività che concorsero alla coesione sociale e alla floridezza economica cittadina.
Di tale passato si possono vedere in una sezione del museo pochi ma emblematici oggetti che ravvivano la memoria del tempo e rimandano al contesto religioso e civile.
Uno staio di bronzo, antica unità di misura ufficiale del Comune, si relaziona a un blocco di Serizzo, nel chiostro, che, originariamente collocato sotto l’Arengario, serviva come vera e propria ‘pietra di paragone’, con i suoi segni e incavi riferimenti di lunghezza e capacità.
Pietre scolpite o incise con simbologie religiose attestano la forte dimensione spirituale dell’uomo medievale. Il Compianto sul Cristo morto di Giuseppe Meda, che ritorna nel luogo da cui proveniva prima dello strappo effettuato negli anni Trenta del Novecento, chiude il percorso medievale del Museo e, considerata la presenza del Meda anche nell’attiguo Duomo, conferma il rapporto proficuo in città tra l’eccellenza civile e quella religiosa.
Passando al reparto pittorico, bisogna subito evidenziare la sezione che presenta, in esposizione, alcune delle tele più celebri dei pittori monzesi di fine Ottocento.
Naturalismo e Verismo si fondono nei lavori di Eugenio Spreafico e di Emilio Borsa, dando vita a scenari di grande suggestione visiva. Tema ricorrente nei soggetti del periodo è il lavoro, colto in un momento di grandi trasformazioni economiche e sociali che hanno dato luogo a quella mutazione del paesaggio agricolo e urbano caratterizzante tutto il corso del XX secolo, quando il mondo legato alla civiltà contadina tramonta, lasciando posto al nuovo che avanza personificato nelle figure delle giovani operaie, ricche solo della promessa di un futuro migliore.
Un velo di malinconia pervade figure e luoghi reali, cari ai pittori e tratti direttamente dalla loro quotidiana esperienza. Lo stesso sentimento di malinconia caratterizza la grande tela di Carlo Fossati, che fugge però il reale, in una scena d’infanzia, trasfigurandolo nell’incanto di un paesaggio fiabesco.
Pompeo Mariani è presente con due tele dedicate al viaggio in Egitto, testimonianza del suo essere in linea con le più moderne tendenze – in questo caso l’Orientalismo – che hanno contraddistinto il periodo.
Le opere del XIX secolo costituiscono uno dei nuclei più rappresentativi delle collezioni dei Musei Civici. Frutto di acquisti, lasciti e donazioni, esse sono la testimonianza della vitalità di un secolo che in città trovava alimento dalla presenza della Villa Reale, con il suo grande parco – esso stesso espressione della cultura e dell’arte ottocentesca – e la vita sociale gravitante intorno alla Corte.
Una borghesia intraprendente sul piano industriale contribuiva a creare le condizioni economiche per lo sviluppo di una scuola pittorica locale che trovava in essa una committenza disponibile, anche se spesso attardata rispetto al rapido cambiamento del gusto e delle tendenze artistiche allora in atto.
Accanto ai dipinti di paesaggio dei pittori monzesi gravitanti intorno a Mosè Bianchi, presente con un dipinto di storia, vi sono opere che rimandano ad altri contesti territoriali e ad altre scuole.
La scultura è materializzata dai lavori di tre importanti maestri lombardi che, muovendosi tra scena di genere e ritratto monumentale, hanno tenuto la scena italiana nell’ultimo quarto del secolo e fin dentro i primi decenni del secolo seguente.
Mosè Bianchi, nato a Monza nel 1840 e morto nella stessa città nel 1904, è certamente il più celebre e popolare pittore del capoluogo brianzolo. A lungo il suo nome ha coinciso con l’evocazione di una ‘monzesità’ della quale andare fieri, tanto che l’Amministrazione Comunale gli ha dedicato negli anni Venti un monumento cittadino, ripreso sul ritratto esposto e realizzato da Luigi Secchi.
Quella dei Bianchi è una famiglia di pittori: il padre Giosuè, il fratello Gerardo e gli altrettanto celebri nipoti Pompeo Mariani ed Emilio Borsa hanno contribuito a dare consistenza a una tradizione artistica locale che la critica ha spesso designato come ‘Scuola di Monza’.
Nell’apposita sezione del museo sono esposte due opere grafiche legate alla pratica dell’affresco, tecnica antica che Mosè Bianchi ebbe modo di esercitare negli anni centrali del suo operato.
La figura femminile rappresenta la personificazione della Storia all’interno di un ciclo pittorico affrescato dal Bianchi in forme neosettecentesche nella Villa Giovanelli, a Lonigo, in provincia di Vicenza, nel 1877.
Di qualche anno successivo, esattamente del 1883, è, invece, il grande cartone preparatorio del Genio di Savoia, dipinto poi realizzato da Mosè Bianchi sul soffitto della Saletta Reale della Stazione di Monza. Il lavoro fu commissionato al pittore dalla città, che volle omaggiare i Savoia, per la loro presenza a Monza, con un’opera del più illustre artista concittadino.
Nei Musei Civici Monza non potevano, poi, mancare i volti, con un allestimento allusivo della ‘Galleria dei ritratti’, una modalità espositiva suggestiva che si è affermata e consolidata nel tempo.
Dal cospicuo repertorio di ritratti delle collezioni civiche sono stati scelti alcuni dipinti per la loro qualità intrinseca e per l’importanza storica dell’effigiato, in particolare per il suo legame con la storia cittadina. In ordine cronologico, a partire dal XVI secolo, sono raffigurati prìncipi, prelati, alti funzionari, giovani donne, poeti, letterati e celebri capitani d’industria, autori di un fondamentale contributo alla ricchezza economica e sociale di Monza. Una particolare attenzione è stata rivolta ai ritratti e autoritratti di pittori che a cavallo tra Ottocento e Novecento hanno dato vita a una tradizione pittorica locale, dalla quale successivamente ha preso le mosse l’adesione della nuova generazione di artisti monzesi al rinnovamento artistico operante nei primi decenni del XX secolo.
Enzo Mauri