Torna a risplendere la stupenda Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza. Dopo sette anni di accurati lavori di restauro, i ponteggi erano stati finalmente tolti a primavera liberando alla vista lo splendore degli affreschi quattrocenteschi realizzati dalla Bottega degli Zavattari. La riapertura ufficiale ieri mattina, 16 ottobre, alla presenza delle autorità e della stampa con una visita gratuita aperta al pubblico fino a sera. D’ora in avanti sarà possibile visitare la Cappella con visite guidate su prenotazione. Nella Cappella di Teodolinda affrescata dagli Zavattari vengono ripercorse le più importanti tappe della vita della regina dei Longobardi che cristianizzò i pagani e fondò la prima chiesa, quella che poi è diventata la Basilica di San Giovanni, Duomo di Monza.
La Cappella di Teodolinda è un monumentale ciclo composto da 45 scene, che costituisce l’esemplare più esteso di serie pittorica italiana in stile gotico e non a caso è stata anche soprannominata “La Cappella Sistina del Nord”. Gli affreschi mostravano i segni di usura e logoramento dovuti all’accumulo di polveri e fumi nei secoli, all’esposizione alla luce e all’umidità, e ad incauti restauri precedenti, in particolare il primo fatto nel 1714. Per restituire i colori originali alle vesti, e la definizione ai personaggi ritratti, sono serviti quasi tre milioni di euro e sette anni di attenti lavori che, a tecniche tradizionali, hanno combinato tecnologie d’avanguardia (nanotecnologia) appositamente studiate ed allineate ad ogni fase del progetto di restauro messo a punto dalla Fondazione Gaiani che si è avvalsa del supporto della Regione Lombardia in concorso con la Fondazione Cariplo, il World Monuments Fund, la Marignoli Foundation, con la tutela delle competenti Soprintendenze e il coordinamento dell’Opificio delle Pietre Dure.
Il restauro conservativo e’ riuscito nel miracolo di togliere il “nero fumo” e far rifiorire i colori, dai verdi dei prati ai rossi e agli ori di certi broccati, pure l’argento delle lance, con il nastro rosso che le avvolgeva.
“Ciò che apprezziamo e vediamo – conclude Anna Lucchini – sono le stesure di base sui cui i pittori della Bottega Zavattari stesero per pennellate, a volte corpose a volte trasparenti, uno strato di 1 o 2 millimetri di colore definitivo che non c’e’ più, eliminato, abraso da puliture troppo drastiche eseguite dai restauratori inconsapevoli dei secoli passati”.
Obiettivo primario era quello di mettere in sicurezza le pitture danneggiate, conservando le velature rimaste e riportando alla luce anche tanti frammenti dai quali ancora oggi si può leggere la meraviglia di un tempo. Sono riemerse cosi’ le tracce dei broccati, dei damaschi, delle fiandre di cotone, le impronte dei finti marmi, quelle degli scoiattoli e delle lepri che popolavano il prato alla fiamminga. Un lavoro lungo e meticoloso, portato avanti con metodi tradizionali e nuove tecnologie, a seconda delle necessita’.
Il risultato e’ stupefacente: “Ovviamente non e’ piu’ quella del 1400 – sottolinea Franco Gaiani, artefice e presidente dell’omonima fondazione – ma l’impatto e’ emozionante, tanti colori che non si riconoscevano più sono tornati a splendere. I ponteggi sono stati tolti in primavera. E per completare il lavoro è stata installata anche una nuova illuminazione di assoluta avanguardia, tutta a led, di cui non si vede la sorgente”.