Nostalgia, nostalgia canaglia. Ebbene si, sono un malinconico nostalgico, incline alla “restaurazione” intesa come restauro del bello dell’antico. Perché la memoria viva e non vada dispersa. Perché il ricordo tramandato serva a chi porterà avanti il nostro cammino, senza scordare il buono del passato, senza cancellarlo con un colpo di spugna solo perché è “vecchio”; ricordando ai “geni” del futuro che abbiamo radici e proprio su queste le piante crescono, diventano grandi e si ergono verso il cielo. Se le radici sono buone, però, altrimenti inesorabilmente cadono al primo vento.
Sono nato in via Lecco al 10 (poi diventato 24) a Monza, a due passi dal Lambro e a quattro dal centro storico. In una strada che un tempo era lo spaccato di una città che non c’è più, della quale è rimasto in buona parte il disegno, ma si sono dispersi le umanità dei personaggi, le tante attività, il cuore pulsante di gente vera.
Via Lecco a San Gerardo, quartiere storico, la strada che porta verso la Brianza fino a toccare il lago e i piedi del Resegone, su quella direttrice tanto cara al Manzoni. Un’arteria di transito, dove fin da piccolo ho respirato il fumo degli scarichi di tanti motori in continuo andirivieni e pure quello che usciva dai comignoli dai quali saliva quel nero acre del carbone consumato dalle vecchie stufe.
Sono cresciuto nel palazzo dei Nava, conosciuti commercianti di latterizzi, in quello che oggi verrebbe identificato come un “mansardato” mentre allora era al massimo un modesto “abbaino”, forse dallo stile un po’ bohèmien, con le finestrelle che si affacciavano sui tetti, tanto utili quando nevicava perchè prendevamo direttamente i fiocchi candidi per trasformarli in ottima granita col vin cotto e gli sciroppi preparati dalla mamma.
A farmi in parte da balia c’era la Paolina, l’arcigna portiera che conosceva ogni piega dello stabile, di ogni singolo appartamento delle cinque scale, ogni scalino infido che portava diretto nel buio delle cantine, celle tipo Spielberg. Lei mi ha portato in braccio al Battesimo con a fianco il marito Vittorio Vertemati, un pacifico omone e il figlio Sandro, che poi tutti avrebbero conosciuto e apprezzato come “il Piuma”, quando da baldo giovanotto, grazie a suoi 194 cm di altitudine dal livello della strada, si trasformò in un valido giocatore di basket finendo la carriera nella gloriosa Forti e Liberi. Volava come una piuma e andava a canestro facile, schiacciando pure, fatto non proprio usueto all’epoca in cui la pallacanestro italica non era certo quella della NBA americana.
A questo punto, direte voi “…chi se ne frega!” di questo personale racconto nostalgico. La nostalgia mi è venuta quando ho saputo che alcuni amici si sono messi in testa un’ “idea meravigliosa”, quella di recuperare il cine-teatro Corallo, che sta proprio in via Lecco all’11, davanti alla sede dell’odierna biblioteca, dove un tempo c’era la scuola Pascoli.
Il Corallo è stato uno dei nostri punti di ritrovo. Faceva da teatrino e da piccolo cinema, dove andavano in scena rappresentazioni fatte in casa e film leggeri, western o storici, dalle comiche di Stanlio e Ollio ai cartoni animati della Warner Bros i mitici Looney Tunes, da polpettoni come “Cartagine in fiamme” ai western con John Wayne e compagnia, per finire alle italiche risate con Franco e Ciccio, Tognazzi e Vianello e i “musicarelli” di Gianni Morandi e Bobby Solo. Il Corallo insomma fa parte della fanciullezza mia e di tanti monzesi ed è una parte della storia di Monza.
Così sono scivolato nei ricordi, nella nostalgia canaglia. A due passi dal Corallo, nello stesso plesso parrocchiale risalente a metà dell’Ottocento, c’era l’oratorio femminile (quello maschile era dove c’è adesso lo sportello AGAM) gestito dalle suore, sempre attente ad evitare che un maschietto “innamorato” si infilasse dentro. Severamente proibito! Ci sono entrato solo un paio di volte: il giorno della Prima Comunione e quello della Cresima quando nel salone le terribili suorine ci hanno offerto il rinfresco, con ottima cioccolata calda e biscotti al burro che si scioglievano in bocca mandando alle papille gustative segnali avvertiti fin nelle parti più recondite del cervello del bambino goloso, che ero e sono ancora.
A proposito di biscotti al burro, al lato del Corallo c’è anche l’ottima panetteria Santini che, insieme al pane e alla saporite focacce, ne sfornava di mitici, rintracciabili, credo, ancora oggi. Poco più in la, la drogheria Valentini, dalla quale si sprigionavano profumi inenarrabili. C’era la libreria Artigianelli, che si è poi trasferita prima in via Italia e poi in via Pavoni, e una cartoleria dove acquistavamo le semplici cose che servivano a scuola, i quaderni, le matite, le penne ed ordinavamo i pochi libri di studio. Niente rispetto alle odierne, spesso esagerate, esigenze.
Difronte al Corallo c’era la scuola Pascoli e dietro l’istituto Commerciale Olivetti per segretarie d’azienda, che è stato frequentato da alcune delle più belle ragazze dell’epoca, ancor oggi belle signore. Non a caso davanti all’Olivetti, intralciando spesso il traffico sulla via Lecco, si formava la fila di aspiranti fidanzati che arrivano a frotte da mezza Brianza tentando di accaparrarsi la più bella, ma belle erano quasi (il quasi ci sta) tutte. Nello stesso plesso scolastico, relegata infondo al cortile, la scuola di avviamento professionale, per lo più serale.
Com’era bella via Lecco col Corallo. Era bella perché c’era vita. Non perché adesso non ce ne sia, ma mancano i personaggi. Manca il colore di un’osteria come quella del Banfìn dove il Luis “al vusava” (gridava), manca il negozio di colorate granaglie dell’Oriani, la latteria prima del ponte dove il fine lattaio preparava una panna da urlo, nella quale ci affondavi pure il naso. C’era davvero un concentrato di professioni e soprattutto di umanità irripetibili, a partire dal grande fotografo Franco Valtorta, che con le sue immagini ha fermato momenti della storia cittadina, dallo sport biancorosso alla terribile cronaca, come la tragedia del treno volato giù dal ponte di viale Libertà, a poche centinaia di metri dalla via Lecco.
I miei ricordi di ragazzo si perdono sui marciapiedi di quella strada trafficata, dove c’erano pure il distretto militare e la caserma della Finanza. C’erano soprattutto i frequentatori primi del Corallo: le belle panettiere, le longilinee sorelle Saini, Silvia e Lina; il Gironi, il tappezziere tuttofare sempre pronto a trovare soluzioni d’arredo; l’ortolano Nicolino Del Sorbo, venuto su dal Sud per vender frutta e verdura e anche per trovar moglie, la Lina; poi le loro belle figliole; la merciaia Maria Bettonaghi, madre della Lina; le tre gentili e aggraziate tabaccaie dette appunto le “Finette”, un trittico di zitelle d’altri tempi; il parrucchiere Timpanaro, soprannominato “Pedrito el drito” (personaggio dei fumetti dell’epoca) o più direttamente “Baffone”, per via dei suo folti mustacchi alla messicana; il calzolaio Sergio, il Pozzi; sull’angolo il macellaio Angelo e più avanti sulla strada, a destra verso il ponte, la macelleria del sciur Zoia, che serviva solo carni piemontesi; a metà strada, quasi davanti al Corallo, il Serravalle dove le nostre famiglie hanno acquistato a rate la radio con giradischi sopra, il primo frigo e la prima televisione col tubo catodico; al suo fianco Casati che vendeva e riparava biciclette, Daelli che vendeva timbri su ordinazione; il preciso orologiaio Strippoli; senza dimenticare la sfiziosa salumeria- gastronomia della Giancarla Mariani e del Felice Nova, che non era in via Lecco, ma era proprio li, all’inizio di via Raiberti, dove ancora oggi è aperta, gestita dal figlio Angelo, mio coetaneo, col quale abbiamo condiviso tanti giochi infantili nel cortile ciotolato di via Lecco 24. Civico davanti al quale un bel giorno nei primi Anni Sessanta fiorì un moderno palazzone, laddove c’era un grossista di formaggi, facendoci capire che era arrivato l’inarrestabile progresso e quella via sarebbe man mano cambiata. Fortuna vuole che per qualche anno altri personaggi hanno animato la strada, tra cui il buon prof. Pronoi, padre di due gemelli, uno dei quali, Giuseppe, oltre ad essere stato compagno di scuola alle elementari, è pure il mio commercialista.
Domenica prossima 18 settembre alle ore 16 al Teatro Manzoni di Monza la storia bella del Corallo verrà ricordata con un evento, uno spettacolo cabarettistico con alcuni attori di Zelig, Colorato Cafè ed Eccezionale Veramente e con la compagnia teatrale dei giovani di San Gerardo. Il tutto organizzato da Andrea Magro dell’ Associazione RadioAtva con il parroco don Massimo Gaio, che ha certamente ereditato la verve di predecessori illustri quali don Florindo Spinelli e dei sui energici assistenti don Franco e don Angelo, colui che cercò di insegnarmi il catechismo all’oratorio, elargendomi anche qualche meritato buffetto, perché con la mia solita goliardia ironizzavo anche sul sacro.
Obiettivo della giornata quello di dare il via ad una raccolta di fondi per recuperare il cine-teatro, sensibilizzando i parrocchiani e i monzesi. Nell’occasione sfileranno ben sette Sindaci di Monza che a San Gerardo hanno radici: il veterano professor Pier Franco Bertazzini, Rosella Panzeri, Emanuele Cirillo, Marco Mariani, Michele Faglia, Roberto Colombo, Roberto Scanagatti, l’ultimo della serie; quasi a significare che il quartiere ha dato alla città alcuni dei migliori amministratori, in una sorta di avvicendamento.
Tutta gente che al Corallo ci ha passato più di qualche ora, che si è divertita e ha sorriso in compagnia di familiari e amici, come abbiamo fatto noi. Adesso per riportarlo in vita servono un bel po’ di euro. Un’impresa non facile, ma la volontà non manca. Il Corallo, infatti, in disuso ormai dagli anni Ottanta, si presenta fatiscente e in stato di profondo abbandono. Servono almeno 3 milioni di euro per creare nuovi spazi non solo per la parrocchia, ma anche per la città. La Curia vorrebbe recuperare, non solo il teatro Corallo ma tutto il suo complesso, che comprende anche la cappella di Sant’Agnese dell’800 e altri spazi oggi inutilizzati. Don Massimo sogna di realizzare un refettorio della carità, l’asilo notturno per sole donne e mini appartamenti per chi versa in condizioni disagiate. E qui davvero ci vorrebbe un ben miracolo del nostro amato San Gerardo.
L’ho fatta un po’ lunga per le abituali metriche giornalistiche, ma qui il lavoro non c’entra, è entrato in scena il cuore. Così ho ritrovato anche “il Piuma”, il buon Sandrone, che mi ha aiutato a mettere insieme questi bei ricordi legati alla nostra strada e al Corallo da salvare.
Carlo Gaeta