Ebbene si, da ormai vecchio giornalista monzese, che pure va poco allo stadio, oggi non posso essere allegro. Non mi tornano i conti: 4 punti in 4 partite, tre sconfitte al Brianteo. Un bilancio da fame che però, a mio modesto modo di vedere, ha precise responsabilità. Quando si arriva in un ambiente provinciale, retto su precisi equilibri psicologici costruiti in tre anni, dopo un fallimento da paura, si deve andare con i piedi di piombo. Si deve usare una certa accortezza e, se vogliamo, pure rispetto per quello che è stato costruito fino a quel momento, ripartendo da zero.
D’accordo, adesso sulla carta ci sono i soldi, le belle prospettive, si può sognare. Intanto però è stato beatamente ‘sminchiato’ un ambiente che si reggeva proprio sul suo provincialismo e sull’unità di uno spogliatoio formato da ragazzotti per bene che avevano davanti uno scenario definito, senza voli pindarici e, soprattutto, senza vedersi mettere in discussione per il tatuaggio, la pettinatura, il look e soprattutto dal nome di qualcuno che a gennaio (se non prima) sai già che è destinato a prenderti il posto. Guardate come è stato brutalmente ‘segato’ il portiere Liverani, che non sarà Buffon, ma l’anno scorso male non aveva fatto. Prima ancora, il discutibile avvicendamento tra Zaffaroni e Brocchi, voluto in prima persona da Galliani che ne ha portato le sue tesi a Berlusconi nel fatidico pranzo di Arcore del 22 ottobre. Intanto il nome di Brocchi già girava da fine settembre.
Onestamente non riesco a capire quale sia la vera strategia della nuova proprietà. Mandare a casa tutti e ripartire da zero a gennaio? Intanto da qui a Natale il Monza rischia di finire all’inferno dal quale risalire non sarà così semplice. Anno buttato? Le premesse ci sono tutte e spero davvero di sbagliarmi.
Non posso certo permettermi di dare consigli a chi nel calcio ha vinto tutto. In piccolo, molto in piccolo, avrei fatto diversamente: in questi mesi forse era meglio perfezionare in ogni dettaglio l’ingresso in società della nuova proprietà. In silenzio, senza troppi proclami e conferenze stampa di taglio confinfustriale. Senza manco una tartina ai giornalisti. Senza far girare nomi e cognomi di potenziali sostituti. Senza servizi della tv di proprietà per presentare nuovi sponsor. Evitando di far arrivare in tribuna d’onore personaggi di cui onestamente non ne sentivamo proprio il bisogno.
Zitti e muti tutti, sotto traccia fino a Natale e poi, insieme al panettone, il fatidico annuncio del cambio della guardia, con il mercato di riparazione ormai aperto e quindi, pronti via, per i necessari avvicendamenti in formazione. Quanto meno fino all’arrivo di Babbo Natale avrei tenuto pure l’allenatore, che comunque di quella psicologia e della tenuta dello spogliatoio era il ‘totem’. Il punto di riferimento dei bagaj.
Se la strategia era quella di destabilizzare un ambiente per poi fare piazza pulita, ci sono già riusciti. Invece ho come la sensazione che abbiano fatto male i conti, almeno quelli iniziali. Il panettone biancorosso rischia così di avere un sapore amaro.
Carlo Gaeta