Mario Rigoni Stern cacciatore. Mario Rigoni Stern è probabilmente lo scrittore italiano che più lega la sua opera alla natura, descritta in ogni romanzo e racconto ambientato nella sua terra natale, l’Altopiano di Asiago.
Tra le sue opere, è spesso presente la caccia, prima un bisogno e poi una passione che ha coltivato fin da bambino.
La caccia narrata da Rigoni Stern non è un hobby o uno sport, ma una forma di rispetto e di conoscenza del mondo naturale. È una lotta contro se stessi, la fame, la stanchezza, il sonno e il freddo, sapendo che bisogna essere giusti al momento giusto, perché alla base c’è un rapporto non solo con l’animale, quanto con il proprio senso di esistere, il senso profondo dei millenni che uniscono l’uomo, la natura e la preda.
Quelle di Rigoni Stern sono storie che hanno un tempo semplice, quello di uomini in attesa e animali a volte braccati, altre volte rispettati e salvati. Tentativi, fallimenti e silenzi ritenuti più importanti delle parole. Leggi fatte di valori incontestabili e solenni e del senso inevitabile dell’esistenza, che è un equilibrio dell’universo in cui l’uomo predatore, come qualsiasi altro predatore, recita un ruolo comunque di importanza esistenziale per tutta la natura.
Mario Rigoni Stern cacciatore ha la visione della caccia come attrice di un equilibrio naturale e fonte di una esperienza umana che unisce le generazioni, praticata per lui fin da bambino, seguendo le orme del padre e dei nonni.
Per Mario insomma la caccia non è solo una fonte di sostentamento ma anche il modo che ha l’uomo per entrare in contatto con il mondo selvatico e la sua legge fondamentale: quella della sopravvivenza, senza nascondere la violenza e il dolore che essa comporta, e senza esaltare il trofeo o il dominio sull’animale.
Il debole che soccombe è un destino obbligato, in un gioco del tempo in cui a tutti noi, prima o poi, spetterà di essere più deboli di fronte a un qualche predatore.
Mario Rigoni Stern cacciatore mostra una caccia che è forma di conoscenza e di cura della natura, paziente, saggia e moderata. Celebri le pagine in cui racconta che le prede sono le prime vittime di un ambiente senza predatori e quindi senza equilibrio: troppi caprioli vuol dire poco sottobosco, e quindi troppi caprioli vogliono dire la progressiva estinzione della loro specie in parallelo a quella del bosco stesso.
Rigoni Stern ha anche sostenuto la necessità di “coltivare” i boschi, cioè di intervenire su di essi con criteri scientifici e culturali, per favorire la biodiversità e la salute degli alberi. Egli ha criticato la forestazione monocolturale e la cementificazione del territorio, che alterano gli equilibri naturali e minacciano la sopravvivenza della fauna selvatica
Per ritrovare Mario Rigoni Stern, e il suo rapporto con la montagna e la natura, che ad Asiago e nella sia storia vuol dire anche rapporto con la guerra “predatrice dell’uomo” ricordiamo tra tanti i “Racconti di caccia” (1960), una raccolta di quattordici racconti che descrivono le esperienze nella sua vita di cacciatore. “Il bosco degli urogalli” (1962), un romanzo che è un omaggio alla natura e alla cultura della montagna, ma anche una riflessione sul senso della vita e della morte e “Stagioni” (1970) che raccoglie le impressioni sulle diverse stagioni dell’anno come metafora della parabola e della vita.
Ecco, in questa epoca che tanto parla di acquisire una sostenibilità, rileggere le opere di Mario Rigoni Stern sarebbe un modo per introdurre conoscenza ai valori della sostenibilità stessa, magari togliendola dagli slogan e dai “tifi” demagogici che allontanano dal focus di un ambiente in grado di garantire la comune sopravvivenza.
Insomma, rileggere Mario Rigoni Stern sarebbe anche accostare la parola sostenibilità a quella di cultura, fondamentale per educare e insegnare un cambiamento, e non imporlo.
Claudio Calvi