Il mese di novembre è da sempre dedicato a caro estinto, ai ricordi, alle persone che abbiamo amato e che non ritroviamo più su questa terra. L’annuale data della commemorazione per me è scivolata via come quasi tutti gli anni, senza una programmata visita al cimitero, perché quel luogo mi mette tristezza, mi procura una indicibile sofferenza, che si accentua nei ricordi struggenti. Vagare tra le tombe per ritrovare le tante persone che hai conosciuto nel corso della vita, ritrovare i tuoi cari e gli amici perduti alimenta una malinconia tremenda che non riesco per giorni a eliminare. Così metto in atto una sorta di “egoismo protezionistico”. Cerco di tenere lontana la tristezza ed elevo un muro tra me e i cimiteri, anche perché sono convinto che, terminata la terrena esistenza, rimane sono un ossario, un cumulo di polveri, mentre chi abbiamo amato è volato altrove, con la sua parte migliore, quell’essenza che sarà sempre con noi.
Non mi piace neppure la “mercificazione” del caro estinto, il business che vive nei giorni di quella che in molti identificano come la “festa dei morti”. Che caspita ci sarà da festeggiare non mi è dato capire! So solo che i miei cari me li porto dentro ogni giorno dell’anno. Li ricordo quasi ogni mattina quando mi sveglio e li saluto quando vado a nanna, guardando le immagini che ho sul comodino. Capisco che non è bello vedere una tomba trasandata o mezza abbandonata, ma continuo a pensare che la non ci sia più nulla, se non ossa e l’ultimo vestito indossato nell’estremo saluto, già rovinato dal tempo che inesorabile trascorre, ma non fa dimenticare.
Così mi vien quasi da piangere e m’incazzo assai quando ormai da giorni vedo alimentare dai colleghi giornalisti una vicenda cimiteriale che riguarda oltretutto un vecchio amico, prematuramente scomparso nella scorsa primavera. Un amico che aveva il solo “difetto” di essere omosessuale, con una grande gioia di vivere, uno smisurato amore per i colori e per tutto ciò che era arte e dava benessere, anche agli occhi.
Avevo conosciuto Carlo Annoni più di vent’anni fa quando seguito la FIRP, Federazione Italiana Reflessogi del Piede, della quale lui faceva parte e per la quale redigevo il “giornalino”. Ci trovavamo spesso alle riunioni dell’ associazione e ai convegni nazionali che presentavo. Un brillante, un artista, pieno zeppo di verve e di simpatia. Ricorderò per sempre quell’anno a Numana nelle Marche, dove, per una serata intera, fino a notte fonda, abbiamo sparato una sequela di cazzate memorabili, andando giù dal ridere. E l’anno dopo ancora sulle rive del Garda in una competizione di barzellette nel resort dove eravamo alloggiati insieme a un folto gruppo di reflessologi.
Carlo era bello dentro e dava tanto fuori. Era un poliedrico, capace di passare dal benessere al teatro. Non a caso gli hanno dedicato un premio teatrale. Lo apprezzavo molto quando teneva le sue relazioni al convegno Firp, al quale ha partecipato per tanti anni. Non avevo saputo della sua terribile malattia e quando ad aprile mi è giunta la notizia la fitta al cuore è stata forte. Ma visto che non amo andare ai cimiteri mi son perso la sua tomba “fosforescente”, bella colorata, quasi un pugno in un’occhio per significare ciò che Carlo era.
Guarda combinazione nei giorni dedicati ai morti mi è balzata all’occhio la triste “speculazione” in atto sull’ultima dimora dell’amico, che disturberebbe la vista di chi va a portare un fiore al cimitero. Tanti commenti, tanti inutili giudizi, tante balle. Un’autentica schifezza. La sintesi della pochezza dell’animo umano. Il tutto quando i nostri cimiteri sono pieni di obbrobri. Arte funeraria da cinema horror, tombe diseguali, alte e basse, lunghe e larghe, storte, con statue che vorrebbero riprodurre il volto del caro defunto spesso senza riuscirci minimamente e via dicendo. Non vorrei passare per filo altoatesino, ma gli unici cimiteri che in qualche modo digerisco sono proprio quelli che trovo quando passeggio in mezzo alle Dolomiti, dove le tombe sono pressoché tutte uguali, un quadretto di terra con belle composizioni floreali e una croce in ferro battuto con al centro una foto. Perché davanti alla morte, teoricamente, siamo tutti uguali.
Carlo e il suo compagno Corrado, sposato qualche anno fa all’estero, perché nel nostro civile Paese ancora non si poteva, sarebbero andati fuori misura, progettando una tomba insolita, vivace, piena di foto, con colori accesi, per farsi vedere. Tanta roba, forse troppa. Per me di sicuro. Ma rimane il fatto che i nostri cimiteri, esclusi alcuni (mi vengono in mente il Monumentale di Milano, il Verano a Roma), sono l’apoteosi dell’ostentazione pacchiana di ciò che eri stato in vita. Salvo tu non fossi Manzoni, Ariosto, Dante, Napoleone o Garibaldi. Più scendi verso Sud e più c’è gente sconosciuta che si costruisce un’inutile costosa cappella per lasciare un suo ricordo ai posteri, come se avesse bisogno di un giudizio della gente anche dopo morto. Così più grande e bella è la cappella, più la famiglia è degna di rispetto e di essere ricordata. Per questo mi convinco sempre più che il futuro sia la cremazione, anche perché già oggi nelle grandi città non sanno più dove mettere i morti. A Roma rabbrividivo quanto ho visto tumulare il mio amato zio in una polverosa spianata di periferia, lontana almeno venti chilometri da luogo dove aveva abitato.
Ebbene, Carlo nel cimitero di Mariano Comense, nella nostra grigia Brianza, ha voluto lasciare il suo segno. Un tratto diverso, simile a lui, colorato, forte, vivace, allegro, eccentrico. Se ne avete voglia, passate a trovarlo, ma evitare giudizi, pettegolezzi, guardate in silenzio e pensate alla vita, all’infinita bellezza dell’universo, all’alba e al tramonto, che pure ha dei magnifici colori. Lui per il suo personale tramonto terreno ha scelto le tinte che più gli si addicevano, gialloblu. Punto. Come altri hanno messo sulla tomba delle statue, spesso tristi o addirittura aberranti, tanti da far scappare i bambini. Non ha insultato o offeso nessuno, come è stato riportato in un titolo becero. In consiglio comunale è stata pure presentata una mozione, forse perché l’amico era gay. Ma fatemi il piacere!
Condivido il Sindaco Giovanni Marchisio quando dice che personalmente avrebbe fatto una scelta diversa, più coerente al contesto, ma nel contempo ognuno è libero di manifestare il proprio lutto nel rispetto delle regole. E visto che queste sono state rispettate, allora, o creiamo un piano regolatore serio dei cimiteri nostrani, oppure salutiamo il buon Carlo con il meritato rispetto per chi ha vissuto una vita onesta e sincera, fino infondo, senza mai fare male a nessuno. I problemi del mondo dei vivi sono ben altri! E forse c’è proprio bisogno di più giallo e di blu, di sole e di azzurro. Dentro nell’anima.
Carlo Gaeta