BrianzaPiù vuole essere, nel suo piccolo, espressione di un territorio che mette in mostra le sue tante, spesso sconosciute, eccellenze, il suo Bello e il suo Buono, ribadendo che siano nel pieno di un’area-sistema economico che evidenzia da sempre oggettive peculiarità, non solo storico- ambientali, che si discostano certamente da quelle metropolitane, con esigenze infrastrutturali che devono guardare ad un’imprenditoria locale ancora diffusa sul territorio, un modo di fare impresa che ha radici e modalità diverse rispetto a quello milanese, dove peraltro la riconversione industriale degli ultimi decenni ha portato a guardare quasi totalmente al terziario, più o meno avanzato.
In questo scenario, crediamo che l’obiettivo primario debba essere quello di riconsiderare e rivalutare le tante affinità elettive delle nostre tre grandi Brianze (Monzese, Comasca e Lecchese) in una scala di priorità che deve mettere in agenda interventi precisi per riconsiderare che noi siamo la Brianza, un tempo definita uno dei motori d’Italia e d’Europa. Una Brianza ovviamente diversa da quella che venne raccontata nel 1982 dall’ottima pubblicazione “Brianza Bella”, edita dall’Associazione Industriali di Monza e Brianza”, nella quale noi eravamo tra i cinque motori economici europei.
Quella odierna è una Brianza alle prese con la forte crisi, che ha fatto perdere certezze e valori; una terra che, invece di riprendersi la sua forte identità, la sua ricca storia e le sue belle tradizioni, invece di esaltare il suo marchio di Qualità, fatto di lavoro artigiano, di design, di idee e di perfezione, sta perdendo via via pezzi, soprattutto per la debbenaggine di personaggi, brianzoli (il che è ancor più grave), maturi come i cachi e fine novembre, spesso falliti in altre avventure e ormai alla frutta, che, per non perdere l’ultima “cadrega” da sotto il dorato culo, si muovono condizionati da un potere vecchio, stantio, senza una visione per il futuro, perché tanto il futuro non appartiene loro. Un potere che alberga indisturbato nei palazzoni di una Milano, piena zeppa di problemi, che dopo Expo pensa già alle Olimpiadi del 2024 (se Roma rinuncia) o del 2028. Quasi come se il futuro dipendesse solo da questi grandi eventi, senza una visione complessiva che deve partire dal basso, dalle esigenze reali della gente che lavora, che produce, che vive la quotidianità. Poi quando questi grandi eventi finiscono rimane il vuoto, degli impianti inutilizzati e dei villaggi fantasma.
La Brianza “l’è n’altra roba”. Da queste parti di lavora e si tira ancora la lima, ma soprattutto possediamo un territorio che, con un minimo di oculata rivalutazione, potrebbe attrarre in primis proprio i vicini milanesi, molti dei quali manco sanno dove stanno Colle Brianza e il Lissolo, tanto per dire.
Invece di pensare ad una rivalutazione complessiva in grado di unire le forze anche con Lecco e Como, i geni benpensanti della Camera di Commercio di Monza (che raggruppa quasi 90mila imprese) hanno votato per accorparsi alla Camera di Milano, che pressava forte per riavere Monza. Prima ancora la stessa cosa è avvenuta per Confindustria Monza, finita in Assolombarda, convinta di contare di più nel mare magnum milanese, piuttosto che ricordare la lungimirante visione di personaggi come Walter Fontana che pensavano ad una Brianza forte, autonoma, in grado di ribadire la sua sostanza, senza disdegnare il rapporto con Milano, per “sfruttare” la capitale economica ai fini delle relazioni internazionali e dei commerci. Oggi invece, su questa strada, finiamo dritti dritti nell’Area Metropolitana, come dei tonni in rete, diventando un bel quartierone periferico di Milano.
Una delle possibili strade da percorrere per evitare la liquefazione della Grande Brianza in questa grande metropoli, che non potrà mai essere Londra, Berlino o Parigi, è quella di valutare bene l’Area Vasta. Su questo tema, credo, possiamo dare il nostro modesto contributo divulgativo, laddove il territorio brianteo, con le sue vive eccellenze, può ancora riservarci qualche sorpresa, se non caliamo le brache ed anzi ce le teniamo ben strette con un impeto di dignità. E soprattutto togliamo di mezzo i troppi ipocriti che hanno dimostrato in questi anni di un averne un briciolo e si sono venduti e svenduti secondo convenienza personale, interessi di parti o ripicche del momento.
Per questa ragione condividiamo e pubblichiamo l’intervento del Sindaco di Lecco Virginio Brivio, estratto dalla sua newsletter del 16 settembre. Uno spunto di riflessione, insieme ai nostri primi articoli di qualche tempo fa rintracciabili nel sito. Disponibili sempre ad allargare il confronto con altri autorevoli interventi, di qualsiasi parte politica.
Carlo Gaeta
“So bene che il concetto di “ Area Vasta ” suona estraneo se non oscuro alla maggioranza dei cittadini. Specie per i lecchesi, da Premana a Casatenovo via Lecco, che hanno riconosciuto con fatica l’avvento della Provincia, come ho potuto constatare anche con la mia precedente esperienza alla guida dell’Ente” scrive il Sindaco Brivio.
“Non c’è insomma su questo ramo del Lario quello spirito di appartenenza e di identificazione che si registra invece in realtà nelle quali l’istituzione Provincia ha radici secolari. Si pensi a Sondrio o alla stessa Como. Un limite, certo, ma anche un’opportunità per disegnare senza il peso del passato il quadro del futuro. Il contesto è incerto ma qualche ragione me la sono fatta e soprattutto ho capito cosa si deve evitare: per esempio di far leva sui sentimenti o sui risentimenti, sugli opportunismi di parte o di categoria, sugli interessi peculiari, specie se visti con occhio miope. Allora occorre parlare di contenuti, badando alla tattica del momento, ma soprattutto alle strategie.
Due parole voglio indicare a cardine e obiettivo di questa fase: lo sviluppo socio-economico del territorio e la sua crescita culturale e civile. Non sono sinonimi, ma intrecciati garantiscono il futuro alle nuove generazioni. Fuor di metafora, non si può non considerare l’intesa con Como quando si parla di turismo, né tanto meno ci si può permettere di evitare l’asse con Monza quando si parla di impresa manifatturiera, ricerca e innovazione. Ecco perché i pronunciamenti di diversi soggetti pubblici e privati devono poi armonizzarsi in un progetto comune, altrimenti vince chi “le spara più grosse” o magari vanta temporaneo potere sui tavoli che contano.
C’è poi il tema che da sempre decide del futuro di un territorio ed è quello delle infrastrutture. I lecchesi lo conoscono bene perché hanno aspettato la SS36 e l’attraversamento per trent’anni, perché contano sulla Pedemontana, perché aspettano la Lecco-Bergamo. E infrastrutture, cioè trasporti, chiamano in causa il fattore “acqua e ferro” (navigazione del lago e trasporto ferroviario) che non devono essere solo variabili marginali di un piano d’interventi e di interscambio, bensì devono essere valide alternative e strumenti integrativi dell’ormai insufficiente mezzo stradale.
Come Sindaco del Comune capoluogo, specie in questa fase di assestamento istituzionale, lastricata di ostacoli e talvolta di scommesse, sento il dovere di contribuire a tirare le fila di questo processo che, se vuol essere democratico come si proclama ad ogni occasione, deve coinvolgere le parti sociali, le categorie e soprattutto i Sindaci e gli amministratori del territorio, che sono rimasti, non solo simbolicamente, il presidio della rappresentanza e gli interpreti più autentici della volontà e dei desideri dei cittadini”.
Il Consiglio comunale di Lecco,con delibera numero 27 del 23/05/2016, ha espresso in un ordine del giorno la propria posizione sul tema. Per leggere il documento, clicca qui.