Quando gelano le verze è tempo di Cassoeula! Sono diversi i locali storici brianzoli dove il piatto imperversa.
Quando i ricordi delle vacanze estive si fanno sempre meno nitidi, le foglie gialle abbandonano i rami degli alberi e cadono a terra ed il freddo incomincia a farsi sentire, con temperature vicino allo zero, allora la stagione fredda entra nel vivo e, puntuale, arriva, almeno in Lombardia e più precisamente nel cuore della Brianza, il momento del piatto più classico della stagione: la Cassoeula.
Scritto alla francese, anche se i più snob spesso usano il termine ‘potaggio’, derivato dalla parola transalpina ‘potage’, questo piatto, prettamente invernale, richiede una preparazione lunga ed attenta, ma non tanto complicata e, causa una certa pesantezza nella digestione, non si addice proprio a tutti gli stomaci. Per questo, i medici raccomandano una frequenza non troppo elevata nel mangiarla.
Molte sono le varianti, ma gli ingredienti base, a parte il tradizionale condimento con carote, sedano, cipolla, burro, brodo di carne, sale, pepe e, volendo, un bicchierino di vino bianco secco, sono le verze, reduci dalle prime gelate della stagione (condizione, questa, indispensabile per uscire tenere dalla cottura) e alcune parti meno nobili del maiale. Certamente ci vogliono costine e cotenne, ma sono in molti ad inserire nel pentolone (da qui la derivazione del nome del piatto) anche verzini, piedini, musetto, orecchia e codino. La Cassoeula, una volta cotta, si serve in tavola con una fumante classica polenta gialla e con davanti un buon bicchiere di vino rosso di buona gradazione, preferibilmente barbera d’Alba o del Monferrato.
Le leggende vogliono questo piatto tramandato da un soldato spagnolo del Seicento alla fidanzata milanese, cuoca presso una famiglia nobile, per offrirle qualcosa di originale da proporre, poi, ai suoi datori di lavoro (che, stando almeno alla popolarità ottenuta da questo cibo, avrebbero molto apprezzato il dono…). Altre, più semplicemente, lo danno inventato casualmente da una casalinga, sempre di Milano, in difficoltà nel preparare la cena al marito al ritorno dal lavoro e allettata dall’idea di mettere insieme un improvvisato piatto unico, buttando, senza troppe attenzioni, verze e carne di maiale nella pentola. Gli storici, invece, fanno risalire la scoperta della cassoeula al periodo medioevale in Lombardia ed ai contadini poveri della campagna che, ad un certo punto, avendo tante verze nei campi, pensarono, per cibarsi con una certa consistenza, di abbinarle alle carni più diffuse e quindi meno costose presenti sul mercato, ovvero quelle di maiale.
Per quanto riguarda il nome, c’è anche chi afferma che derivi dalla cazzuola dei muratori che, una volta arrivati al tetto dell’edificio in costruzione, usavano, in epoche lontane, questo attrezzo di lavoro per mescolare la Cassoeula, allora tradizionale piatto per festeggiare insieme il risultato conseguito in cantiere. Con ogni probabilità, il piatto è pure legato alla ritualità del culto popolare di Sant’Antonio abate, in calendario per il 17 gennaio, data coincidente una volta con il termine delle macellazioni dei maiali.
La prima ricetta lombarda della Cassoeula, dopo la creazione di pietanza simili nel XV secolo da uno dei padri della gastronomia spagnola a Nola e nel 1773 a Napoli, risale al 1826 e la si deve al comasco Odescalchi, nel libro ‘Il cuoco senza pretese’.
In Brianza, sono diversi i locali dove il piatto, più asciutto rispetto a quello milanese, decisamente brodoso, viene proposto nella stagione invernale.
Il ‘Pin del Rus’ (Usmate Velate, via Cappelletta, 1) è uno dei più storici, essendo nato come ristoro per mercanti di cavalli nel 1920 ed arrivato alla quarta generazione con Luca Zocca, insieme alla madre Angela in cucina ed alla moglie Alessandra in sala a servire ai tavoli. Pin era Giuseppe, figlio del signor Angelo, detto ‘Il Rus’, per i suoi lunghi baffi rossi. La trattoria, sita ad una cinquantina di metri dalla villa del popolare pilota di F.1 degli anni Settanta Vittorio Brambilla, è rustica e familiare, con due ampie sale, una veranda per l’estate ed un grosso camino, sempre acceso in inverno. La cucina, nel rispetto della tradizione brianzola, presenta affettati nostrani, nervetti, sottaceti, cotechino con purè, risotti, paste, carni alla griglia, arrosti, brasati, ossobuco, selvaggina (quando è disponibile, il fagiano, preparato con una speciale crema bianca, è da ordinare ad occhi chiusi), trippa e soprattutto la cassoeula, il piatto principe del posto, preparato con ingredienti genuini, carni nostrane e servito, in giuste porzioni, con polenta fumante. Il ‘Pin del Rus’ osserva il turno di riposo nella giornata di giovedì.
Ad un paio di chilometri da questo locale, si trova ‘Da Mafalda’ (Usmate Velate, via Mongorio, 8), di Maria Rosa Polito, altra trattoria storica, con tanto di grande insegna del caffè sopra la porta a vetri d’entrata e all’interno, di primo impatto, il bancone con macchina di una volta per farlo. Davanti, classici tavoloni in legno grezzo, dove i vecchi del paese trascorrono i pomeriggi con l’immancabile calice di rosso e, a fianco, la sala da pranzo, con pochi tavoli, arredamento minimalista con foto di un campioncino locale alle pareti, tra un paio di quadri agresti. L’aria che si respira è quella della propria casa e non sono esclusi rimbrotti se, al termine della cena, si lascia qualcosa sul piatto, senza una valida giustificazione.
Qui, oltre agli arrosti, alle cotolette ed alle grigliate miste di carne, si può gustare, in tutta semplicità, una cassoeula con la ‘c’ maiuscola, ‘strong’ al punto giusto, unta a dovere, con tutte le parti del maiale, previsti dalla ricetta tradizionale, cotte alla perfezione e presentate, in quantità rilevante, con polenta bollente e formaggi della zona. Mafalda, ormai anziana, se n’è andata a miglior vita da pochi mesi, ma i familiari, da tempo inseriti nell’esercizio, continuano la tradizione con grande successo (per trovare un posto sicuro, soprattutto al sabato sera, è consigliabile la prenotazione con largo anticipo, vantando, il locale una clientela variegata ed affezionata da anni). Giornata di chiusura: la domenica.
Il ‘Roma Joker Fantello’ (Casatenovo, via Roma, 17) è un ristorante-albergo a conduzione familiare, sempre aperto, con ampia sala e piccolo pergolato per le cene estive. La cordialità qui è di casa, grazie alla simpatia dei proprietari, un’allegra e affiatata coppia con i loro figli. La cucina, strettamente e piacevolmente casalinga, spazia dal risotto alla milanese o alla monzese con la luganega alle paste con sughi decisi, dalle carni di ogni genere alla trippa e, naturalmente alla cassoeula, ricca di verze e parti del maiale scelte, all’insegna della genuinità. Porzioni sempre abbondanti nei piatti. Meglio andarci quando si ha veramente fame e farsi guidare, con la massima fiducia nella scelta delle portate, dai titolari che si alternano ai tavoli. La struttura ha i suoi anni ed anche l’accesso alla sala da pranzo, causa la vicinanza con la scala che porta alle camere, non è dei più agevoli, ma, una volta seduti davanti ai piatti serviti, con il profumo del cibo, tutto passa decisamente in secondo piano.
Sempre nel cuore della Brianza, ecco ‘Al Furmighin’ (Lesmo, via Ratti, 6), vecchia osteria con una cinquantina i posti a sedere, sotto una luce velata, nelle due salette, la principale con un caratteristico caminetto e ricco il menu con risotti di ogni genere (speciale quello con la zucca e lo speck), paste, bolliti misti, trippa, stracotti, ossobuco, filetti e tagliate con carni argentine. La Cassoeula, piatto immancabile, è particolare e leggera, quasi dolce, preparata con le parti di maiale fornite da una nota macelleria di Verano (la stessa che a dicembre presenta in esclusiva per la zona le carni del ‘bue grasso’ di Moncalvo) e, quel che più conta al giorno d’oggi, digeribilissima.
Consigliabile, in modo particolare, per chi si avvicina per la prima volta a questa pietanza, dal gusto non sempre facile d’assimilare al primo impatto, ‘Al Furmighin’ offre ai clienti un ambiente casalingo ed anche ampia possibilità di parcheggio nelle immediate vicinanze. Resta chiuso per turno il martedì sera, ma solo se non sono giunte prenotazioni.
Questa, che vi abbiamo proposto, rappresenta una rapida carrellata di locali storici ‘ruspanti’ in Brianza, con la cassoeula in primo piano e con menu, a parte quelli di lavoro del mezzogiorno, dai 25 ai 35 euro, vini compresi.
Sempre in tema di Cassoeula, vogliamo però segnalarvi in Brianza anche tre altri ristoranti, di livello decisamente superiore e di fascia costi per la cena più alti: ‘Osteria del Pomiroeu’ (Seregno, via Garibaldi, 37, sempre aperto), ‘Al camp di Cent Pertigh’ (Carate Brianza, via Trento Trieste, 63, chiusura il martedì) e ‘Al Pertegà’ (Seregno, via Vignoli, 9, chiusura sabato mezzogiorno e domenica sera).
Ci focalizziamo, per chiudere la carrellata, solo sul primo, situato in un’antica corte ed il cui nome deriva da ‘Pometo’, termine con il quale un tempo si indicava la zona di Seregno che ospitava ricche coltivazioni di mele. Tempo fa, a pranzo e per 50 euro, beveraggio e servizio inclusi, nell’ambito della rassegna ‘I sabati della tradizione’, Giancarlo Morelli, chef rinomato e genio creativo dell’ Osteria del Pomiroeu, ha presentato ‘Cassoeula e Bollicine – profumi ed odori, concreti attivatori di emozioni, un’autentica immersione reale nei gusti, nei sapori e nei profumi di una cucina che affonda le sue radici nel territorio inteso come genius loci’. Un vero e proprio trionfo per questa Stella Michelin che non finisce mai di stupire, anche con un piatto povero come questo, che ha replicato più volte, a grande richiesta, abbinandolo all’immancabile polenta, con crudité all’inizio e sbrisolona in chiusura (euro 40, beveraggio escluso).
Enzo Mauri