Gli alberi in questo periodo dell’anno rispecchiano perfettamente lo stato d’animo di noi umani e l’atmosfera che si respira passeggiando tra la natura.
Una sensazione di riposo, di pausa, di transizione.
Gli alberi, da quelli più imponenti e secolari, alle piante più esili e fragili, si spengono in inverno, sembrano sprofondare in un sonno profondo e anestetizzante. Simile al letargo degli animali che, come gli orsi per esempio, si accoccolano nelle loro tane già accuratamente rese accoglienti per il momento opportuno, e sprofondano in un lungo e rigenerante sonno letargico, che li porterà ad affrontare l’inverno ad occhi chiusi, cullati dai sogni e dal tepore della tana, per poi risvegliarsi quand’anche la natura stessa compirà il suo nuovo ciclo di vita.
Quegli alberi che abbiamo visto così maestosi, ricolmi di fogliame e fiori sparsi qua e là sui rami ad incorniciare uno spettacolo bellissimo, si sono già leggermente intristiti nella precedente stagione, in autunno, quando le foglie secche si sono staccate una dopo l’altra dai rami e sono cadute a terra, formando un ovattato tappeto variopinto. Eppure, anche in quell’occasione, l’autunno sa dare un fascino incredibile alle sue creature. Colori diversi ovunque, foglie di mille sfumature, dal rosso acceso con talvolta qualche venatura arancione, giallo brillante, color del sole come se i raggi della stella del mattino volessero regalare ancora un po’ di calore a quelle foglie e ritardarne la caduta, finendo per dipingerle della sua stessa colorazione.
Ma quando passeggiamo in primavera ci sentiamo avvolti dall’esplosione della natura che ci rapisce con i suoi colori vivi e intensi: il verde delle chiome degli alberi, il rosa dei fiori di pesco, l’arancione acceso e focoso dei frutti, il giallo e il bianco delle margherite nei prati…tutto ci riconduce al trionfo della vita che si apre al cielo e che sembra non esaurirsi mai. Ogni nostro passo è un’immersione in una profumazione differente, da quelle delicate e raffinate, che tanto vorremmo poter catturare per farne un’essenza, a quelle più pungenti e predominanti, ma ovunque vi è il profumo incontrastato della natura in espansione e in energica forza vitale.
Ma ora, là dove in primavera rigogliva la vita e in autunno cadevano le foglie ad ovattare i nostri passi, ora c’è il vuoto. Quegli alberi così belli, ricchi, imponenti ed affascinanti, ci appaiono ora tristi, abbandonati, soli e spogli. Spogli di foglie, di fiori, spogli di vita.
I loro rami, ben visibili senza le chiome frondose a ricoprirli, si allungano verso il cielo e sembrano davvero poterlo raggiungere talmente sono lunghi e sottili. Una mano protesa a chiedere aiuto, supplicando di riavere indietro tutta quella vitalità perduta.
Altri rami, invece, invertendo la scia dei loro “fratelli”, si incurvano verso il basso facendo apparire l’albero ancora più triste e rassegnato, ancor più alla disperata ricerca di quella natura colma di vita che ora si è inevitabilmente assopita.
Assomigliano a dei manichini svestiti, gli alberi in inverno. Un intreccio inestricabile di legno che, a quanto pare essendo l’unico a non essere andato a dormire durante la fredda stagione, si contorce su se stesso, si intreccia e, sempre nel legno, trova e cerca riparo, un minimo di conforto per non sentirsi così solo.
Eppure, a pensarci bene, tutto questo è estremamente affascinante. La natura ci mostra, ad ogni cambio di stagione, ad ogni anno, il ciclo della vita. Attraverso gli alberi e il loro ciclo stagionale, l’uomo è spettatore del normale, inevitabile e conclamato ciclo vitale. Un ciclo che prevede, come è ovvio, un inizio, uno sviluppo, un’esplosione e, purtroppo, una fine.
Non siamo poi così diversi noi esseri umani dalla natura che ci circonda. Non siamo così differenti dagli alberi che ogni giorno osserviamo dalle finestre o che sfrecciano via accanto a noi, mentre guidiamo e procediamo dritti verso la nostra meta. No che non siamo così diversi, noi e i magnifici alberi.
Quando ci siamo da poco affacciati alla vita e gattoniamo alla scoperta di ogni minimo, anche insignificante particolare, alla scoperta del mondo, siamo come i germogli delle foglie, dei fiori e dei frutti che timorosi e cauti fanno capolino sui rami degli alberi. Poi cresciamo, ci ergiamo sulle gambe, prima con normale incertezza, poi sempre più saldi e sicuri sui nostri piedi fino ad arrivare a correre e ad aprire gli occhi alla vita, al cielo, alle stelle, alla luna e al sole, al mondo; proprio come lo sbocciare dei fiori e l’aprirsi delle foglie che diventano a poco a poco il vero ornamento e la linfa vitale dell’albero stesso. Ed è allora che la vita esplode e sembra ergersi a padrona dell’universo. Poi, però, arriva l’autunno sul ciclo vitale degli alberi così come su quello dell’uomo, i rami si incurvano proprio come le ossa di noi uomini, le foglie seccano e infine cadono dai rami, la pelle umana si riempie di rughe e anche noi esseri umani cediamo, cadiamo verso quell’oblio che è la più grossa incognita della vita.
Eppure, c’è una cosa che ci distingue dagli alberi e dalla natura in generale, una cosa che anche noi umani vorremmo tanto possedere. Quella capacità innata di rigenerarsi e di tornare a vivere dopo la fine di ogni ciclo. Quanto vorremmo avere la certezza di sbocciare di nuovo, come la gemma pura e nuova di un fiore, sui rami di quell’albero che è rimasto spoglio per un intero inverno, quanto vorremmo poter ripetere il nostro ciclo vitale ancora e ancora, proprio come un albero.
Ma forse…proprio là dove si staglia l’incognita più grande della mente umana, avverrà la nostra rinascita. E saremo come gli alberi.
Francesca Motta