Lungo via del Bettolino, così chiamata perché in passato vi sorgeva una bettola, in prossimità del cimitero di Velate, si erge in tutta la sua delicata bellezza la Cappella Giulini della Porta.
Con la sua cupola in rame e l’entrata che richiama lo stile classico di un tempio romano, la Cappella è il luogo di conservazione e commemorazione delle spoglie di una famiglia che fece tanto per Velate.
Stiamo parlando di Rinaldo di Barbiano, principe di Belgiojoso, un uomo del risorgimento, un valoroso combattente delle guerre per la liberazione del territorio italiano dal dominio austriaco, ma soprattutto un uomo onesto e caritatevole.
Un uomo, infatti, che fece moltissimo per il territorio velatese e che contribuì notevolmente a risollevarlo dalle crisi e dalle carestie che l’avevano piegato.
Rinaldo di Barbiano, pur essendo un principe per nascita, si dimostrò immediatamente un uomo nobile non solo per il suo titolo, ma per la sua indole.
Furono proprio la sua anima caritatevole e il suo spirito generoso, infatti, che lo portarono a finanziare interventi di bonifica e di riqualificazione del territorio velatese, per non parlare della costruzione della cascina Belgiojoso, che Rinaldo volle completa di ogni mezzo necessario per la coltivazione e l’allevamento: i mestieri che garantivano sostentamento al popolo.
La Cappella Giulini della Porta venne costruita per volere della figlia di Rinaldo di Barbiano, donna dalla stessa indole buona, caritatevole e magnanima del padre, Maria Beatrice portò avanti i progetti e i valori del padre, e volle ricordare e celebrare la sua intera famiglia, dedicandole un luogo sacro e commemorativo.
Entriamo, dunque, più nel vivo della struttura delicata ma allo stesso tempo imponente, elegante e robusta della Cappella Giulini della Porta.
In prossimità del cancello in ferro battuto che oggi protegge l’entrata della Cappella, è ancora visibile nel terreno il solco che testimonia l’antico passaggio del fiume, confine naturale tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Luogo che, lungo via del Bettolino, è segnalato da una stele, simbolo che in passato segnalava la presenza di un lazzaretto, luogo di ricovero e di quarantena per i malati di peste, una funzione che la Cappella Giulini della Porta svolse per molto tempo durante la Grande Peste. Ancora oggi, davanti alla stele è visibile una botola di metallo che si può ancora sollevare, e che ci ricorda la sua originaria funzione: un nascondiglio sicuro all’interno del quale i passanti e gli abitanti del paese potevano lasciare donazioni in cibo o in denaro agli ammalati del lazzaretto.
Ma è al suo interno, custodita dalla cupola in rame, ormai erosa dal passaggio del tempo, che si cela la bellezza pura e sincera della Cappella.
Sono le tre statue che decorano le tombe e l’altare della Cappella che la rendono di una bellezza ricercata e che lascia senza fiato.
Una volta varcata la soglia, l’Ecce Homo del Vela cattura la nostra attenzione verso lo sguardo del Cristo sofferente, uno sguardo in grado di risvegliare la nostra empatia e renderci, così, partecipi del dolore di questo uomo.
Uomo, sì, perché quello rappresentato dallo scultore Vincenzo Vela non è il sacrificio consapevole e composto del figlio di Dio, bensì il dolore umano di Cristo.
Vela sceglie di rappresentare e di porre in cima all’altare della Cappella, tutta la sofferenza di un sacrificio che grava sulle spalle di un Cristo che, come possiamo ammirare, soccombe sotto di essa: le spalle curve, le mani scarne e dolorosamente ripiegate sulle ginocchia, copiose gocce di sangue che gli rigano la fronte, l’espressione affranta e rassegnata degli occhi.
In poche parole, l’Ecce Homo di Vela è la parte umana, e non divina, di un Cristo che sembra rendersi conto proprio in quel frangente dell’immensità e del dolore del suo sacrificio.
A fare da contrappeso a questa sofferenza, lo sguardo sereno, buono e armonioso della Vestale che si erge custode sulla lapide di Maria Beatrice Giulini della Porta. Anch’essa opera del Vela, la Vestale è la rappresentazione di una donna umile e raffinata, dallo sguardo dolce e sereno, colma di una bellezza quasi eterea, un po’ come doveva presentarsi la stessa Beatrice dal vivo.
Il mantello scolpito nel marmo che avvolge candidamente il corpo della Vestale e il suo sguardo modesto rivolto verso il basso, le donano una femminilità attraente ma mai volgare.
Questa umile donna sembra silenziosamente dialogare con l’Angelo dello scultore Giacomo Moraglia, che sovrasta invece la stele di Giovanni Giorgio, amato e compianto marito di Maria Beatrice.
Moraglia ha deciso di rappresentare in una chiave chiaramente cristiana, il Messaggero della Morte, personaggio della simbologia romana che annuncia la morte stringendo nella mano una tromba rovesciata.
La Cappella Giulini della Porta è uno scrigno di intramontabile bellezza, conservato in un angolo silenzioso della nostra Brianza.
La Cappella è un vero e proprio contenitore prezioso di tutti i simboli, i capolavori, le testimonianze di un’epoca storica valorosa: fatta di desiderio indomabile di libertà, di uomini che si sono battuti instancabilmente per rendere questo desiderio una realtà, un’epoca fatta di uomini e donne generosi che si sono messi a disposizione dei più umili.
Un’epoca, quella della Cappella Giulini della Porta, fatta dalle mani di sapienti scultori che plasmano il marmo e che danno vita all’arte.
Francesca Motta