Una giornata particolare quella che si è consumata ieri, nel lasso temporale di poche ore, nel raggio di qualche chilometro nella nostra Brianza: da una parte il dorato set dell’Open d’Italia di golf, in programma fino a domenica prossima nel Parco di Monza, dove sfilano tanti golfisti milionari pronti a metterla in buca per un montepremi da sette milioni di dollari; dall’altra una serata speciale in provincia, al Palasport di Barzanò, dove è arrivato un simpatico “sacramento”, guarda casa nato nell’omonima città americana, che per poche migliaia di dollari rischia la vita arrampicandosi su irte pareti a strapiombo sul mondo, in free solo, una ascesa libera veloce senza protezione alcuna. Due facce dello sport, due estremi: quella patinata, piena zeppa di ricchi sponsor, di marchi del lusso e quella fuori dal mondo, dal tempo, dallo spazio, dalla logica, dove gli sponsor non sono tanti e “cacciano” poco rispetto agli altri, anzi qualcuno si tira pure indietro perché ‘sti matti mettono a repentaglio la cotenna e spesso qualcuno ce la lascia pure. I primi che passeggiano su un green concimato, diserbato e tagliato di fino, mettendo alla prova abilità, mira, concentrazione e al massimo se scivolano si sporcano i calzoni firmati, l’altro che sale senza protezioni su pareti di roccia con livelli di difficoltà inimmaginabili per un comune mortale e se mette un piede in fallo sono cavoli amari, anzi neri!
Com’è strano lo sport, da quello più popolare all’estremo. Siamo davvero agli antipodi, come pratica e come guadagni. Infondo è la metafora di questo mondo dove vale tutto e il suo contrario, dove c’è gente che si arricchisce senza fare un beato e altri che invece sgobbano, si rovinano le mani e faticano a campare. Da un lato troviamo sportivi che, grazie agli sponsor, alle Tv e all’audience, portano a casa lauti compensi sfidandosi con una pallina o con un pallone, dall’altro un baldo giovanotto che ogni volta sfida solo se stesso, mette alla prova le sue palle per vincere la paura, l’ignoto, l’impossibile. Quelli che camminano tranquilli in mezzo al verde, giocano senza rischiare nulla, beccano soldi e pure gli applausi, se la pallina finisce bene in buca, anzi se ti fanno un “hole in one” (centrano un tiro secco) si portano pure a casa la fuoriserie dello sponsor, e l’altro, un vero e proprio “matto”, che rischia invece di vedere le sue palle finire in uno strapiombo e una volta in cima alla montagna – e ci arriva a piè veloce – al massimo sente il fruscio del vento e poi deve pure tornar giù rischiando ancora la cotenna.
Contraddizioni sportive. In entrambi i casi parliamo di campioni, fenomeni dello sport, personaggi unici, chi più e chi meno con le palle. Due modi di vivere e intendere lo sport, nel silenzio o nel clamore, lottando contro se stessi per non precipitare e gareggiando contro altri per centrare una buca o una porta con più o meno tiri, sapendo di portare a casa una montagna di soldi.
Il nostro campione è Alex Honnold, classe 1985, nato ad agosto sotto il segno del Leone, forse non a caso, visto che ci vuole un coraggio tale per affrontare certe scalate di livello 8 tra l’A e il C (roba che manco i gechi rimangono attaccati alla roccia). Il 4 giugno 2017 ha conquistato la cronaca per aver risalito in free solo l’impervia parete di El Capitan in California nel parco nazionale dello Yosemite. Ha compiuto il percorso di 900 metri a mani nude in 3 ore 56 primi.
Honnold arriva in Brianza per merito di Casa Longoni, o meglio di DF Sport Specialist, brand sportivo brianzolo che crede nello Sport, con la esse maiuscola, quello appassionato, fatto di gente che ci mette il cuore e l’anima, che in ogni impresa si confronta con l’estremo, tocca il cielo con un dito e si avvicina un poco a Dio. Sportivi che DF aiuta nelle loro imprese.
Strano ma vero, anche su quelle pareti scoscese pare si incontri “traffico”, generato da tanti appassionati “della domenica” che praticano discipline estreme, mentre per altri sport più popolari il traffico è quello automobilistico, generato da chi non vuole mancare all’evento mondano, magari per strappare un selfie al campione del momento, e quello delle utenze, dell’audience, generato dai media.
E’ quindi sempre questione di traffico! E senza accorgercene siamo noi protagonisti del traffico, anche quando siamo in fila e ci lamentiamo pur contribuendo ad alimentarlo. “Traffico”, ad esempio, è quello generato dai click su una notizia pubblicata on line o dal telecomando che manovriamo. Noi scegliamo dove orientarci, cosa leggere, cosa vedere, cosa applaudire, qualche disciplina praticare, in qualche palestra portare nostro figlio, il quale, ovviamente, dovrà diventare un campione e, possibilmente, far soldi a palate. Certo mai lo porteremmo ad arrampicarsi senza assicurazioni, senza corde. Ma le metafore retoriche ci potrebbe essere utili, evitando l’esaltazione di chi non la merita. Solo per dare un senso allo sport, quello vero, ai suoi intimi valori.
Lasciamo perdere i ricci golfisti, Honnold e le sue “pazzie”, e pure la DF Sport Specialist che l’ha portato qui a raccontare chi glielo fa fare ad arrampicarsi in quel modo. Usiamolo semplicemente come figura metaforica per dare senso al coraggio, alla passione, alla fede e alla lotta per vivere dignitosamente e affermarci, all’impegno per scalare la nostra piccola montagna quotidiana e raggiungere la nostra zona di benessere.
Mentre ascoltiamo la storia delle sue grandi imprese, ci vengono in mente i golfisti, bravi e tanto concentrati per carità, le quattro giornate che la TV dedicherà all’evento di Monza e altri sport ricchi, primo fra tutti il pallone, dove i milioni sono come bruscolini grazie a quel traffico, fatto di audience, di biglietti e di scommesse, che alimenta un giro miliardario. Pensiamo di essere lontani da quel traffico, ma spesso ci troviamo invischiati e ne siamo protagonisti.
Alex, lontano da tutto questo, sorpreso dalla notorietà improvvisa, ci hai dato una lezione, con la tua semplicità, con quel suo modo di vivere in verticale, sopra le righe, fuori misura, fuori tutto. Si è presentato con la sua faccia pulita all’Università dell’Alpinismo e della Montagna della Brianza con umiltà, strappando applausi e lasciando un segno indelebile del suo passaggio.
“Mi alleno soprattutto per superare la paura, per aumentare il grado di concentrazione, per entrare in quella che io chiamo zona di comfort, entro la quale mi sento bene, sicuro in ogni movimento. E’ richiesto tanto a livello mentale. Quando sono in parete devo avere la massima concentrazione. Nei passaggi meno complicati possono anche permettermi di pensare a qualcosa, agli amici e al tempo, ma quando affronto i punti più complessi la mia mente deve liberarsi da ogni pensiero e concentrarsi solo su ciò che devo fare. Quando ho avuto delle difficoltà ho pensato che forse non mi ero preparato abbastanza, che non ero abbastanza concentrato. Sono fortunato sotto molti punti di vista perché faccio quello che mi piace, vivo a contatto con la natura, giro il mondo. E in questo mio continuo vagare alla ricerca dell’estremo, di nuove arrampicate, ho incontrato anche la sofferenza degli uomini, la povertà” racconta; e per dare una risposta tangibile a quanto ha visto, cinque anni fa ha messo in piedi una fondazione, una ONG che si occupa di tecnologie energetiche accessibili e sostenibili per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo alla quale devolve un terzo dei suoi guadagni.
La metafora dello sport si compie, Honnold e i suoi estremi appaiono quasi come citazioni retoriche. Il problema dovrebbe essere trovare l’esaltazione retorica sugli altri, eppure ci riusciamo.
Carlo Gaeta